Petrolio in paradiso
Sabina Morandi
Ponte delle grazie, 2005
p.228
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Scritto nel 2005 da Sabina Morandi, giornalista che scrive di biotecnologie e ambiente per numerose testate, il libro è attualmente fuori catalogo, tuttavia se ne possono trovare copie su qualche libreria online.
Non è propriamente un romanzo, né una semplice inchiesta giornalistica, bensì un thriller ecologico che mischia alla realtà inventata dall'autrice, la verità nascosta di avvenimenti attualissimi. Nonostante non sia un'opera puramente letteraria della quale esaltare la nuda bellezza narrativa, è un libro che definisco bello per il suo portato di denuncia e verità che contiene.
Laura, giovane antropologa, viene assunta per una spedizione in Ecuador dalla Sartilo, società italiana specializzata in prospezioni petrolifere. Il suo ruolo sarà quello di mediatrice culturale con gli indios locali. Conosce poco del progetto aziendale, non sa che nessuno si aspetta di trovare dei nativi in quella terra vergine, ancestrale, né tanto meno s'immagina che i lavori di prospezione verranno effettuati in una riserva naturale protetta, e anche qualora spuntino dei “selvaggi”, una lauta somma offerta agli indigeni sarebbe l'unica mediazione per la distruzione del loro habitat. Laura non è l'unica protagonista di questa storia; oltre ai suoi colleghi c'è, dal lato opposto, Cesar, giovane kichwa che ha studiato alla scuola dei bianchi e ora presiede il primo consiglio kichwa riconosciuto dal governo.
I kichwa sono l'antica popolazione che abita quei luoghi; antichi cacciatori e guerrieri, sono ormai ridotti a pigri bevitori dell'alcol portato dai bianchi. È una tribù destinata a scomparire per lasciare spazio al progresso, la cui sola scelta è morire con le proprie origini o emigrare tra il puzzo cittadino per evolversi in mendicanti. Bianchi e kichwa, in un crescendo drammatico, si incontrano in quel paradiso di mezzo, terra primordiale da sfruttare per i bianchi, patria e tradizione da salvare per i nativi.
La Morandi sa mediare molto bene tra le due storie, introducendo in ogni capitolo un frammento di storia reale: dalla nascita del movimento politico degli indios nel mondo, allo sterminio nascosto di molti popoli operato dalle multinazionali del petrolio. “Nessuna presenza indigena” è ciò che viene riferito. Non mancano attimi di pura espressione narrativa, momenti in cui la Morandi si lascia andare – e lascia che ne prendiamo parte – alla descrizione dei luoghi, alle sensazioni date da quella terra in cui si erge il vulcano Tristeza, che davvero sa di paradiso e che molti, ingratamente, vorrebbero distruggere nel nome del progresso: ma qual è il vero prezzo da pagare?
Alla fine del libro si trovano gli indirizzi web degli indigeni e altri link per approfondire l'argomento. Immancabili i ringraziamenti, i quali vanno alle persone che lavorano nel settore petrolifero, ai ragazzi della Campagna per la riforma della Banca Mondiale, ai gruppi indigeni e in particolare ai Sarayaku dell'Ecuador, che combattono contro l'invasione del loro territorio opponendo, ai fucili dei soldati, l'arma della denuncia e dell'azione nonviolenta.
Così conclude Sabina Morandi: “La speranza è che la storia romanzata ispirata dalla loro vicenda, susciti interesse e curiosità per quella vera”.
Sì, questo libro merita una seconda possibilità.
© Alessandro Giova
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