Il peso della farfalla
Erri De Luca
Feltrinelli, 2009
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E' dolce e silenziosa come i passi sulla neve la scalata fino alla cima di queste 60 pagine e poco più. Una favola, la storia di un duello rinviato per anni: il bracconiere e il re dei camosci si sono rincorsi per molto tempo, entrambi sentono che è giunto il loro ultimo inverno; hanno ancora forza nelle gambe, ma è il sangue pulsato dal cuore che s'è fatto debole. L'ultimo colpo per l'uomo, l'ultimo calore per il re dei camosci prima d'essere spodestato da uno dei suoi giovani figli.
Il re dei camosci imparò a riconoscere fin da piccolo l'odore dell'uomo e del suo fucile, quando, ancora cucciolo, rimase orfano per mano del cacciatore. Divenne forte, crebbe selvaggiamente e quando arrivò il momento divenne re grazie a un duello: un sol colpo nel fianco del maschio rivale.
Imparò a scoprire, la solitudine gli fece battere sentieri sconosciuti agli altri camosci:“In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva. Dietro di loro la traccia aperta si richiude”. Ma giunse il suo inverno. Re, ancora, per una sola stagione. Dovrà perire, soccombere al nuovo re o rifugiarsi in alto, lontano dal branco, lasciandosi morire.
Il cacciatore – re dei camosci a suo modo - scalava pareti con facilità, nessuno possedeva la sua abilità nel far perdere le tracce lungo sentieri all'apparenza inaccessibili. Gli manca il premio più ambito: il re. Sente che le sue forze non sono più quelle di un tempo: sarà forse la sua ultima caccia, l'ultimo schiocco di fucile per uscire vincitore in quel duello differito negli anni. Sa di essere il più crudele, per questo non racconta le proprie avventure in osteria. Quel che non sa, è che più degli altri riesce a sentirsi parte di un disegno complessivo di cui lui è parte integrante e irrinunciabile, per questo lui e non un altro è il protagonista di questa storia. E come per il Santiago de Il vecchio e il mare, gli anni di caccia hanno fatto maturare in lui saggezza e rispetto: ha imparato a non commettere errori, ad uccidere soltanto certi tipi di bestie, a riconoscere nell'animale ucciso qualcosa di nobile; nobiltà che non merita di essere pasto facile per gli uccellacci neri divoratori di carogne (o pescecani in Hemingway): ha bisogno di una fine dignitosa.
Il cacciatore – re dei camosci a suo modo - scalava pareti con facilità, nessuno possedeva la sua abilità nel far perdere le tracce lungo sentieri all'apparenza inaccessibili. Gli manca il premio più ambito: il re. Sente che le sue forze non sono più quelle di un tempo: sarà forse la sua ultima caccia, l'ultimo schiocco di fucile per uscire vincitore in quel duello differito negli anni. Sa di essere il più crudele, per questo non racconta le proprie avventure in osteria. Quel che non sa, è che più degli altri riesce a sentirsi parte di un disegno complessivo di cui lui è parte integrante e irrinunciabile, per questo lui e non un altro è il protagonista di questa storia. E come per il Santiago de Il vecchio e il mare, gli anni di caccia hanno fatto maturare in lui saggezza e rispetto: ha imparato a non commettere errori, ad uccidere soltanto certi tipi di bestie, a riconoscere nell'animale ucciso qualcosa di nobile; nobiltà che non merita di essere pasto facile per gli uccellacci neri divoratori di carogne (o pescecani in Hemingway): ha bisogno di una fine dignitosa.
La fine non è crudele, né atroce, ma un inevitabile passo che lascia ad ognuno il proprio meritato trono.
© Alessandro Giova
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