Norwegian wood. Tokyo blues
Murakami Haruki
Einaudi, 2006
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Leggere questo libro è un po' come avere per le mani i petali di un fiore. La scrittura di Murakami Haruki è gentile ed elegante, pacata e delicata, pur non risparmiando nulla: non risparmia momenti difficili, atmosfere cupe, ricordi crudeli, ma tutto appare narrato con straordinaria calma.
Forse perché nel momento in cui il protagonista Tōru Watanabe racconta, sono passati vent'anni dagli eventi dolorosi che ha vissuto e quel dolore adesso è lenito dal tempo e dagli eventi. Vent'anni improvvisamente annullati da una melodia, quella di Norwegian Wood dei Beatles che si diffonde dagli altoparlanti dell'aereo in cui Watanabe viaggia e ci riporta nella Tokyo del 1968. È proprio lì che si ritrovano Watanabe e Naoko dopo la morte di Kizuki, il ragazzo di lei e migliore amico di lui ed è proprio lì che prendono il via due anni difficili, in cui il protagonista fa la conoscenza di diverse persone, ognuna delle quali segna la sua vita in modo dolce e amaro: c'è Sturmtruppen, il suo compagno di stanza all'università, maniaco della pulizia e della ginnastica alle sei di mattina; c'è Nagasawa, che legge solo libri di scrittori morti da almeno trent'anni ad eccezione di Fitzgerald e colleziona notti con donne sconosciute; c'è Hatsumi, la sua ragazza, che lo accetta; c'è Reiko, che ha scelto di vivere in un involucro per proteggersi; c'è Naoko, che ama dal profondo del cuore e che forse un giorno guarirà e Midori, esplicita e schietta, che ama ma in maniera diversa e forse un giorno potrà dargli la serenità.
Norwegian Wood ci parla di sentimenti e di promesse, di quanto è difficile mantenerle ma di come sia inevitabile farlo; i protagonisti sono tutti ventenni -anno più, anno meno- che si trovano a vivere situazioni più grandi di loro, ricoperti di responsabilità che non avevano chiesto di avere ma che assumono in sé stessi con grande forza. Il romanzo ci mostra il profondo legame che esiste tra la vita e la morte, di come chi è in vita debba capire e accettare questo legame proprio per continuare a vivere; ci insegna che le parole sono la fonte fondamentale del ricordo e probabilmente anche della sopravvivenza: l'autore, in una postilla al romanzo, dichiara: “Forse questo libro chiedeva di essere scritto più di quanto io stesso mi rendessi conto” e lo dedica “a tutti i miei amici che sono morti e a quelli che restano”.
© R.F.
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