La fine è il mio inizio
Tiziano Terzani
Longanesi, 2006
p.422
“L'inizio è la mia fine e la fine è il mio inizio.
Perché sono sempre più convinto che è un'illusione tipicamente occidentale che il tempo è diritto e che si va avanti, che c'è progresso.
Non c'è. Il tempo non è direzionale, non va avanti, sempre avanti.
Si ripete, gira intorno a sé. Il tempo è circolare.
Lo vedi anche nei fatti, nella banalità dei fatti, nelle guerre che si ripetono.”
Il libro è una chiacchierata tra Tiziano e suo figlio Folco, a cui vien data la possibilità, unica anche solo a livello personale, di domandare qualunque cosa desideri a suo padre. Il tutto si svolge all'Orsigna, in Toscana, un luogo fuori dal mondo in cui Tiziano Terzani ha deciso di rifugiarsi, insieme a sua moglie, in attesa che il suo destino di uomo ammalato si compia.
Folco chiede al padre di raccontargli la sua vita dall'inizio; il dialogo ben presto si trasforma nella storia di una vita avventurosa e bella, ricca di desideri, avventure, gratificazioni ma anche di delusioni, dolore, amarezza.
Terzani racconta di essere nato in una famiglia molto povera e di aver vissuto, un po' troppo controllato da sua madre, nella periferia di Firenze. Mente dotata per lo studio, viene notato dagli insegnanti che suggeriscono ai suoi genitori di farlo studiare: Tiziano ha sempre desiderato andar via da quel guscio ormai troppo stretto e gli studi sono stati un ottimo mezzo per fare della sua vita esattamente ciò che desiderava.
Laureato in legge, sposato con Angela, Terzani cominciò come impiegato della Olivetti quando questa (...) non era soltanto la fabbrica per fare le macchine, era la fabbrica per fare le macchine per costruire una società in cui l'uomo vivesse a sua dimensione.
Dagli Stati Uniti d'America, dove studiò la Cina e il cinese e dove nacque il primogenito Folco, al Vietnam, Cambogia, Singapore, Hong Kong, Cina, Giappone, India: Terzani girò il mondo da giornalista nonostante questa professione non fosse la sua massima aspirazione (ma fu l'unica che gli permise di "non lavorare", se si eccettua il pezzo da scrivere a sera e da mandare al giornale); dopo un primo periodo a Il giorno, ottenne un posto come corrispondente estero allo Spiegel tedesco che gli diede letteralmente carta bianca poiché Terzani non era il classico giornalista inviato all'estero che sbarca nell'hotel più lussuoso e sicuro della zona di guerra e fa i suoi reportage facendo domande alle conferenze stampa. Terzani è stato un vero giornalista, che è andato a scavare negli orrori della guerra, che ha parlato - anche a rischio della propria vita - coi Vietcong o gli Khmer rossi, che ha cercato di capire le ragioni anche di quelli che erano considerati "il nemico" e che spesso, a posteriori, si è capito essere delle vittime; Terzani scriveva un altro genere di storie, andava a cercare altre verità oltre ai bollettini ufficiali.
Terzani è candido in tutto, anche nell'ammettere i propri errori o le valutazioni sbagliate. Ammette senza problemi la sua infatuazione per la caparbietà e il comunismo di Ho Chi Min ma soprattutto per la rivoluzione di Mao ed è altrettanto sincero nell'ammettere di essersi sbagliato: alla resa dei conti sostiene che, per la sua amatissima Cina (dalla quale, con suo grande rammarico, venne espulso perché accusato di spionaggio), la "rivoluzione culturale" è stata un errore fatale, poiché ha appiattito il Paese rinnegandone il glorioso passato che lui - sfuggendo ai controlli dell'autorità - ha tentato di ricercare, trovando in esso una bellezza incomparabile.
Terzani, giunto alla fine della propria esistenza, sostiene di aver vissuto una vita bellissima e di essere pronto ad affrontare la morte con la consapevolezza di aver fatto tutto quello che desiderava.
Questo libro è una miniera di libertà, tolleranza e storia: è meraviglioso il messaggio che quest'uomo ci ha trasmesso:
Non è così complicato (...) Capisco la congiura del consumismo (...) ma (...) Sei tu, tu che puoi scegliere se andare in pizzeria o se portare il bambino a vedere le lucciole.
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