Colpi di Penna - Recensioni di libri: Accabadora di Michela Murgia

lunedì 6 dicembre 2010

Accabadora di Michela Murgia



 Accabadora

Accabadora
Murgia Michela
Einaudi, 2009
€18,00

***
Trama


La storia, sullo sfondo di Soreni, paese immaginario della Sardegna, si svolge dalla metà degli anni ’50 dello scorso secolo e narra di Maria Listru, bambina in età prescolare, quarta ed ultima (non desiderata) figlia di madre vedova in miseria, che viene affidata in qualità di “fill’e anima” (una sorta di affidamento volontario col quale si alleviavano al contempo le pene delle donne mai state madri e di quelle che di figli da sfamare ne avevano troppi) a Tzia Bonaria Urrai, una sarta benestante e vedova, di una vedovanza atipica poiché suo marito non era mai tornato dal fronte dov’era andato a combattere, ma mai era stato dichiarato né morto, né disperso.
Nel paese tutti sanno ma nessuno lo dice che Tzia Bonaria, oltre ad essere sarta, svolge un’altra attività che è quella si essere “accabadora”, in altre parole “colei che finisce” e si occupa, su richiesta dei familiari, di porre fine alle pene dei moribondi.
Si tratta di un’attività che oggi chiameremmo “eutanasia” ma che in realtà in Sardegna si perde nella notte dei tempi, quando non esistevano “terapie del dolore” o macchine che potessero tenere in vita.
Maria e Bonaria sono madre e figlia, ma il loro è un rapporto speciale perché si sono scelte: Bonaria manda Maria a scuola, le insegna a cucire e la prepara alla vita; ogni tanto Tzia Bonaria esce, di notte, Maria non sa cosa faccia e non lo saprà fino a molti anni dopo, quando un evento tragico toccherà la sua famiglia e quella di Andrìa Bastìu, un suo amico di scuola. In quella occasione Maria scopre che sua madre è “sa accabadora” di Soreni e ha con lei uno scontro verbale violento che porterà le due donne ad allontanarsi.
Il resto della trama lo lascio al gusto di coloro che vorranno intraprendere questa lettura.
Commento


“Accabadora” è un romanzo di donne raccontato da una donna nel quale quello che non si dice conta più di quel che si dice.
Il tema della morte viene trattato con delicatezza e pudore e, allo stesso tempo, viene impreziosito da bellissime descrizioni relative alla ritualità della morte nei paesi: le campane servivano ad informare la collettività che uno dei suoi membri era morto, il defunto veniva vestito ed “esposto” in casa dove arrivava tutto il paese a rendergli omaggio, le prefiche (attitadorasa) - prezzolate o meno - si disperavano per la perdita e in tutte le case gli scuri alle finestre venivano accostati per dare una manifestazione di rispetto; infine il lutto, usanza che a Soreni era ancora viva. Mi ha ricordato la citazione di John Donne che fa Hemingway ne “Per chi suona la campana” che dice: 


Nessun uomo è un'isola, intera per se stessa;
ogni uomo è un pezzo del continente, parte della Terra intera;
(…)
Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io son parte vivente del genere umano.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.


Personalmente ritengo questo romanzo uno dei più belli che abbia mai letto: descrizioni asciutte, con pochi aggettivi, di un tempo che, pur non essendo troppo lontano, è distante da noi anni luce. Eppure lascia nel lettore il sapore dell’autenticità, dei valori veri, dell’affetto mai detto ma mai così vero, viscerale.
È un romanzo senza mezze misure: o lo si ama o lo si detesta.
L'autrice: brevi cenni


Michela Murgia, nata a Cabras (OR) nel 1972, nel 2006 ha scritto "Il mondo deve sapere" da cui il regista Paolo Virzì ha tratto il film "Tutta la vita davanti".
Per “Accabadora” le è stato assegnato il Premio Campiello 2010 lo scorso 4 settembre.
La dedica del libro, bellissima, dice: “A mia madre. Tutt’e due”.

Recensione a cura di Advenimiento



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