venerdì 24 settembre 2010

La Storia Infinita di Michael Ende




La Storia Infinita
Michael Ende
p.400
Edizioni Tea o Corbaccio
€8.50 o €15.81

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Piccola premessa: quand'ero uno scolaretto delle medie vedevo e rivedevo il film. Sapevo l'intera sceneggiatura a memoria. Uscivo di casa recitandola, passavo le mie ore a scuola, e tornando a casa recitavo la parte da dove mi ero arrestato. Io e questo libro avevamo un conto in sospeso; essendo io un patito mi feci regalare il libro da mia madre. Rimasi delusissimo per non aver trovato sulla sua copertina il famoso AURYN, lo splendore. Credetti che fosse tutto finto, che Fantàsia non esistesse. Invece no, Fantàsia esiste davvero. Ma ero troppo piccolo per capirlo. "Ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta".
Se avete visto ed apprezzato il film, arriverete alla conclusione che "La Storia Infinita" è probabilmente uno dei pochi film tratti da un libro che può definirsi ben fatto. Qualcuno addirittura afferma che il film sia migliore, ma questo rappresenta soltanto una piccola parte del libro. Inoltre molte riflessioni sono compressate ed alcune scene modificate per renderle compatibili con il linguaggio cinematografico. Se riuscirete a scrollarvi di dosso le immagini del film allora vivrete un'avventura vera.

Bastiano Baldassarre Bucci è un bambino grassottello, introverso e deriso dai compagni. Ha perso la madre e vive insieme al padre, col quale non ha un bel rapporto. Un giorno, mentre fugge dai compagni di scuola che quotidianamente lo prendono in giro, si rifugia nella vecchia libreria del signor Coriandoli. Bastiano ha un rapporto speciale con i libri. In essi vive la sua realtà fatta di sogni, con essi fugge le sue paure. Bastiano racconta storie che nessuno ascolta, le racconta a se stesso. Le sue storie hanno sempre una fine, ma quando si trova davanti un libro dal titolo "La storia Infinita", pensa che quello è senz'altro il libro che ha sempre sognato. Lo ruba (seppur con l'intenzione di restituirlo) e si rifugia nella soffitta polverosa della scuola iniziando una straordinaria avventura. Non solo si appassionerà alle vicende di Atreiu, ma si troverà egli stesso parte della storia infinita. Lui salverà Fantàsia - luogo dei sogni e delle fantasie umane - dal Nulla e dalla distruzione. Inizierà per lui una nuova avventura che lo spingerà molto più a fondo: dentro se stesso.
La storia infinita è un libro che fa riflettere, un romanzo intensamente introspettivo. Un viaggio alla scoperta di noi stessi, della nostra vera volontà. È un richiamo a noi, ai nostri sogni. Fantàsia cresce e vive grazie ai sogni degli uomini, ed a sua volta è un equilibrio per il mondo degli uomini. I due mondi si reggono su di un equilibrio leggerissimo, l'equilibrio della menzogna e delle nostre vite vuote che rischiano di distruggere oltre ai nostri sogni, il nostro stesso mondo. Bastiano Baldassare Bucci siamo proprio noi, con la nostra voglia di essere diversi da ciò che siamo, con la nostra voglia di essere qualcun'altro, un qualcun'altro che non ci appartiene, che ci fa dimenticare a poco a poco ciò che eravamo. Questo è (e forse anche di più) la Storia Infinita, il libro dei libri, un libro destinato a diventare un classico. Un tassello immancabile nella biblioteca di un uomo. Solo così Fantàsia potrà risorgere, ogni volta.

Note: l'edizione Longanesi è molto bella: la storia di Bastiano è in Rosso, in verde quella di Atreiu. Ogni capitolo inizia con una lettera dell'alfabeto, ed i capilettera all'inizio di ogni capitolo sono stati realitzzati da Roswitha Quadflieg. I capitoli sono appunto 26.
A.G.
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mercoledì 15 settembre 2010

Le Città Invisibili - Italo Calvino

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Italo Calvino
Mondadori, 1996
p.224

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"Le città invisibili" nasce come una serie di resoconti di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan, Imperatore dei Tartari. Ma il libro non si basa sui veri viaggi intrapresi da Marco Polo, si muove piuttosto lungo la scia di città immaginarie, fantastiche, particolari. Sono città della mente e questo è chiaro anche ai due protagonisti: “forse le città di cui parliamo esistono solo nella nostra mente”. Le città invisibili nascono un poco alla volta, da sensazioni, immagini, stati d’animo. Ogni stato d’animo da vita ad una città, ad una sua immagine o forse un suo sogno immaginario. Ogni città ha una propria identità: che siano esse di materiali pregiati o di stracci e gusci d’uova, sono vive, ognuna appesa al suo particolare carattere che la distingue dall’altra.
"Che cos’è oggi la città per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città.” diceva Calvino durante una conferenza. Città che si perdono, città che si sgretolano o rinascono. Città che han paura di se stesse e creano modi per sfuggire a quel che erano ieri. Città di detriti, di simboli parole morti e memorie. Città che sono il sogno delle nostre morenti città.

Attraverso la voce di Marco Polo, apprendiamo di città sospese in cielo, o città minuscole che nascondono dentro altre città concentriche. Città impossibili. Città che vivono grazie ai racconti di Polo all’imperatore dei Tartari, in cerca di un ordine che gli permetta di avere il controllo del suo vasto impero. Kublai capirà che l’ordine sta nell’equilibrio di differenti disordini, senza arrivare mai a comprendere né quanto fosse vasto il suo impero né quale forma avessero le sue città. Né tantomeno se questo esista davvero o se sia solo un qualcosa esistente nella mente. Un affascinante diario di viaggio, impossibile, invisibile, intangibile eppure quasi reale nelle sue minuziose sfumature, negli odori suoni colori; sfumature che diventano sogno ingoiando palazzi, strade, persone. Forse sono tanti sogni di città ideali, città che vorremmo o non vorremmo conoscere; magari, sono solo città possibili, città che saranno o che furono. O ancora, sono la città che abbiamo dentro, che ricordiamo nelle altre, in tanti piccoli aspetti. Sempre la stessa che si ripete infinite volte in tante piccole varianti.
Il libro si compone di 9 capitoli. Ogni capitolo è aperto da un dialogo tra Polo e Kublai Kan. Le città sono 55: ognuna avente nome di donna e rientrante in una determinata categoria: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i morti, Le città e gli scambi, Le città e i nomi, le città sottili, le città e gli occhi, le città continue, le città nascoste, le città e il cielo. Perché di questo sono fatte le città e non di semplici cinta murarie.

- "La città per chi passa senza entrarci è una, e un’altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui s’arriva la prima volta, un’altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso"
(da Irene, prima città del capitolo VIII)
A.G.

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lunedì 13 settembre 2010

Paradisi Artificiali - Charles Baudelaire



I paradisi articiali
Charles Baudeaire
Pagine 200
(Prezzi variabili a seconda dell'editore)

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Nato il 9 aprile 1821, Baudelaire fu uno dei massimi esponenti della poesia francese del suo tempo e lo è ancora oggi. Esistenza difficile quella di Baudelaire, sempre alle prese con un travaglio interiore comune a molti grandi artisti. Travaglio che spesso si traduce in grandi liriche e opere.
Poeta e critico d'arte (di questo molti si dimenticano), pubblicò prevalentemente su riviste e quotidiani i suoi scritti. Tra i volumi usciti, costituiscono un importante contributo letterario "I Fiori del Male" e "Paradisi artificiali". Quest'ultimo, uscito nel 1860, è un testo che lo stesso Baudelaire definì morale. Sono trattati i temi della droga, dell'hashish, del vino e dell'oppio. Prima ancora di essere un'opera morale però, questi "Paradisi Artificiali" costituiscono certamente un testo dall'alto contenuto estetico, anzi, spesso questo è preponderante, tanto che gli studiosi hanno definito quest'opera come una "prosa poetica". In esso sono forti le analogie con I Fiori del Male e della missione baudelairiana di estrapolare il Bello dal Male.
L'opera si compone di 3 capitoli: Del Vino e Dell'Hashish, Il Poema dell'Hashish e Un Mangiatore D'Oppio, quest'ultimo analisi arricchita da considerazioni e riflessioni del testo di Thomas De Quincy "Confessioni di un mangiatore d'oppio"

DEL VINO E DELL'HASHISH
Nel primo capitolo il poeta fa un raffronto tra Vino e Hashish; ne enumera gli effetti, la moltiplicazione della personalità, racconta poeticamente le immagini di persone alterate dagli effetti immaginifici e artificiali delle due droghe. In esso B. privilegia il vino, giungengo alla condanna dell'hashish come sostanza del diavolo che porta sì l'uomo all'estasi, ma ne corrode la volontà. L'hashish è per uomini solitari, dannoso, un'arma per aspiranti suicidi; il vino invece, al quale dedica un'intera sezione nei Fiori del Male, è sociale, esalta la volontà dell'uomo ed è la bevanda per l'uomo che lavora e merita di berne.

IL POEMA DELL'HASHISH
Nonostante la condanna, l'hashish non viene respinto totalmente e questo lo si ritrova nel secondo capitolo, dove in parte si riprendono temi e riflessioni già trattate nel primo, ma queste appaiono in una veste più approfondita. È importante chiarire che Baudelaire fissa la sua attenzione non su uomini qualunque, ma sull'uomo dotato di sensibilità, all'artista o al filosofoso, dei quali l'hashish esalta la vena creativa. Infatti afferma: "un mercante di buoi non sognerà, non vedrà mai altro che buoi e pascoli".
Baudelaire, che visse per un periodo all'Hotel Pimodan, sede delle riunioni del "Club des Hachichins", ha certamente un'esperienza diretta, sia in qualità di consumatore, sia come osservatore delle riunioni del club. La sua però, non è un'analisi frutto dello slancio dell'ebbrezza, ma una razionale e lucida narrazione postuma.
La confettura verde (al tempo si mangiava) dice, produce straordinari effetti nell'uomo sensibile che possiede una naturale predisposizione nella tensione all'infinito. Ed è proprio all'infinito che tende l'uomo che si lascia stregare da tale confettura. Ne elogia le sinestesie che essa provoca, la musica dei colori e i colori della musica, le immagini, l'annullamento del tempo. In questo è un supporto per il poeta esaltandone qualità e personalità. Ma questo non è un bene e soprattutto non è esente da rischi. Si arriva perfino al limite di sentirsi Dio. Tutto ciò porta alla condanna del pur maledetto Baudelaire, il quale fu lui stesso consumatore nei momenti di impotenza creativa. L'uomo non deve ingannarsi: la gioia e l'estasi che provoca sono surrogati, un paradiso d'occasione, artificiale per l'appunto, accessebile a tutti, con il rischio che l'uomo s'allontani dalla vera ricerca dell'infinito; e per raggiungerlo l'uomo non deve e non può sostituire la propria volontà con la farmacia.

UN MANGIATORE D'OPPIO
In quest'ultimo capitolo, B. riprende l'opera di De Quincy facendone oltre che un'analisi, una traduzione e riscrittura decorata dalle sue considerazioni e commenti. Segue passo passo il viaggio intrapreso da De Quincy alla scoperta dell'oppio, dapprima rimedio alla fame, poi trappola di dipendenza che imprigiona l'uomo in una condizione di non creazione. Una dipendenza che si sostituisce alla natura, che scema gradualmente grazie alla volontà dello stesso De Quincy di ridurre gradualmente le dosi fino alla completa liberazione. Finale a lieto fine che tuttavia non convince Baudelaire il quale è fermamente convinco che si tratti piuttosto di un frutto dell'ipocrita morale inglese.
B. riprende il tema del vino, ma questa volta ad uscirne vincitore è l'oppio. Infine, non poteva mancare il tema della Morte, tanto caro a Baudelaire. Morte che arriva strappando ai terrestri l'estro di De Quincy proprio mentre B. stava ultimando il suo omaggio all'autore inglese. Questo porta alle riflessioni che concludono il libro sulla temuta e amata Morte, amica/nemica che viene spazzando di un colpo piani sogni gloria ma che, al tempo stesso, ci libera in un viaggio misterioso verso l'ignoto.

CURIOSITA'
Al tempo l'hashish veniva mangiato. Aveva l'aspetto di una sorta di marmellata verdastra della quale Baudelaire riporta sinteticamente il procedimento.
 A.G.

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