mercoledì 26 dicembre 2012

City - Alessandro Baricco


City
Alessandro Baricco
Feltrinelli Editore
p. 266

 


Scrivere una recensione per un libro di Baricco non è facile. È che generalmente ti salva un po' la trama, si inizia da quella, c'è certamente una storia in ogni libro, nella quale ogni autore si immerge con maggiore o minore destrezza. Nel caso di Baricco, la tentazione è sempre quella di soffermarsi sul come, sulla marea di parole che oscilla sulla pagina, di cavalcare l'onda anomala che talvolta prende il lettore di sorpresa e lo fa vorticare nella bianca bava di bollicine marine. Vorresti piuttosto dire “ti leggo una pagina, questo estratto”. Cose così, per dirla alla Baricco. Una trama in linea di massima c'è, ci sono dei personaggi, tanti, storie e storie nelle storie. C'è soprattutto una narrativa non convenzionale, asciutta, “strana”, spesso più vicina al nostro parlato che non al parlare narrativo, c'è come una ricerca, un viaggio che si compie nelle parole. Viene in mente Picasso: "a quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino". Ecco, per Baricco vale lo stesso, sembra quasi che vada alla ricerca di una scrittura infantile, una meraviglia che non vuole essere circoscritta in delle norme, ha voglia di danzare nella pagina, strappare il lettore da una storia e catapultarlo in un'altra, un labirinto quasi casuale; di casuale però v'è solo la percezione del lettore, dato che è un libro su cui Baricco ha lavorato per tre anni. Sono lampi, bagliori improvvisi, istanti che tentano di agguantare il lettore alle spalle per consegnarlo ad una qualche autenticità. 

Che poi per coloro i quali vogliono sapere chi sono i personaggi e di cosa parla si potrebbe persino trovare un qualcosa di utile da dirgli: c'è innanzitutto Gould, un ragazzino che è un genio, destinato al Nobel; c'è Shatzy Shell, una ragazza trentenne che diventa la sua governante; ci sono un gigante e un muto, un giovane pugile di buona famiglia che aspira al campionato mondiale e persino un western; ci sono tanti docenti universitari. Questi sono i personaggi, le strade di un libro costruito come fosse una città, le storie sono i quartieri e il lettore cammina in luoghi sconosciuti senza avvalersi di una mappa e non c'è uno disposto a dargli un'indicazione “porco mondo”. Alla fine sarà lui stesso ad unire i punti e disegnare la carta topografica di City. Questo è quanto si può dire, il resto è emozione che affiora all'improvviso, è immaginazione mista a vita, è inaspettata rivelazione che appare dal nulla magari di intere pagine scritte senza un punto o una virgola. È la straordinaria storia dei fiumi e della loro distanza dal mare, sono le assurde teorie di alcuni docenti universitari di Gould, è la fisolofia che si nasconde nel nulla delle Nymphéas di Monet. Perché se questo è un libro-città, allora quelle pagine sono un viaggio, il viaggio dello scrittore e che il lettore tenta di ripercorrere. Come per i viaggi, non è tanto la meta il nostro fine, ma tutto ciò che raccogliamo in termini di esperienza ed emozione nel percorso che ci porta ad essa: ciò che rimane. 
A.G.

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